L’azione per risarcimento danni nel trasporto terrestre internazionale: legittimazione, onere della prova e limite risarcitorio - Studio Legale Turci

L’azione per risarcimento danni nel trasporto terrestre internazionale: legittimazione, onere della prova e limite risarcitorio

La Corte di Appello di Catania con la recente sentenza n. 869/2020 in materia di trasporto terrestre internazionale ha colto l’occasione per ripercorre alcuni dei fondamentali principi consolidatesi nella giurisprudenza di legittimità e di merito, con particolare riferimento all’azione per il risarcimento del danno a seguito di avaria e/o perdita del carico.

Nello specifico, la controversia riguardava la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal mittente nei confronti del vettore per aver, nell’ambito di un trasporto terrestre internazionale, smarrito un collo e consegnato un altro completamente danneggiato.  Sulla scorta dei documenti prodotti, il Tribunale, ritenendo il vettore responsabile del pregiudizio economico subito dal mittente, lo ha condannato al risarcimento dei danni.     Il vettore ha così appellato la sentenza eccependo, in via preliminare, il difetto di legittimazione attiva del mittente in favore del destinatario per esser stata la merce, con riguardo al collo frantumato, consegnata al destinatario e con riguardo al collo smarrito, sulla base del rapporto danno-merci.

La Corte d’Appello, nel respingere l’eccezione preliminare, ha richiamato il principio consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità e di merito secondo cui legittimazione del destinatario non è esclusiva ma alternativa rispetto a quella del mittente ed il criterio discretivo deve essere fondato sull’individuazione di quale sia la sfera patrimoniale sulla quale i danni esplicano i loro effetti (Cass. civ. 2440/2010).

Secondo la Corte tale principio trova applicazione anche con riguardo ai contratti di vendita con spedizione atteso che, “nella vendita con spedizione disciplinata dall’art. 1510, comma 2, c.c., il contratto di trasporto concluso tra venditore- mittente e vettore, pur essendo collegato da un nesso di strumentalità con il contratto di compravendita concluso tra venditore – mittente ed acquirente – destinatario, conserva la sua autonomia ed è, pertanto, soggetto alla disciplina dettata dagli art. 1683 ss. c.c., con la conseguenza che il venditore-mittente, anche dopo la rimessione delle cose al vettore, conserva la titolarità dei diritti nascenti dal contratto di trasporto – ivi compreso quello al risarcimento del danno da inadempimento – fino al momento in cui, arrivate le merci a destinazione (o scaduto il termine entro il quel esse sarebbero dovute arrivare), il destinatario non ne richieda la riconsegna al vettore, ex art. 1689, comma 1 c.c.” (Cass. civ. 17.01.2012 n. 553).

Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza anche con riferimento al dettato degli artt. 12 e 13 della Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956, secondo cui:  “l’art. 13 della Convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956, relativa al contratto di trasporto internazionale di merci su strada (C.M.R.) attribuisce, al pari dell’art. 1689 c.c., la titolarità del diritto all’indennizzo in ragione dell’incidenza del pregiudizio conseguente alla perdita ovvero al deterioramento delle cose trasportate. Ne consegue che la legittimazione del destinatario a pretendere il suddetto indennizzo sussiste, ai sensi dell’art. 1689 c.c., solo dal momento in cui, arrivate le cose a destinazione o scaduto il termine in cui sarebbero dovute arrivare, lo stesso ne abbia richiesto la riconsegna al vettore” (Cass. Civ. 30.01.2014 n. 2075).

Con il secondo motivo di appello, il vettore ha lamentato l’erroneità della decisione del Tribunale per non aver ritenuto responsabile il mittente laddove avrebbe omesso di fornire le indicazioni necessarie per il trasporto ai sensi e per gli effetti dell’art. 1683 c.c.. Sul punto la Corte, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità, ha chiarito  che “in tema di responsabilità del vettore nel trasporto di cose, nel vigente codice civile, non sussiste più la presunzione iuris ed de iure che la perdita dei valori non denunciati sia dovuta a fatto stesso del mittente – attualmente combinando l’onere dell’esatta indicazione della natura delle cose da trasportare ( a carico del mittente ex art. 1683 c.c. 1° comma) con la sanzione per cui sono a carico del mittente i danni che derivano dall’omissione o dall’inesattezza delle indicazioni ( art. 1683 terzo comma c.c.) e con il principio secondo il quale il vettore non risponde della perdita o avaria che deriva dal fatto del mittente ( art. 1693 comma 1 c.c. )”, (Cass. civ. n.1712 del 16.02.2000).   “Ciò in quanto l’art. 1693 c.c. configura e presume a carico del vettore una responsabilità definita ex recepto, in quanto essa sorge con la consegna del bene  e dispone che la prova liberatoria non operi nel senso che il vettore debba dimostrare di aver usato la diligenza impostagli (art. 1176, 2 c.c.) ma quale sia la causa della perdita o dell’avaria tra quelle indicate, restando a carico dello stesso vettore la causa rimasta ignota”.

Del pari, anche gli artt. 17 e 18 della Convenzione di Ginevra sul trasporto internazionale di merci su strada (CMR) pongono a carico del vettore una presunzione di responsabilità, che può essere vinta dalla prova che l’evento si è verificato per un fatto che il medesimo non poteva evitare, secondo un principio comune adottato anche nell’ordinamento italiano ex art. 1693 c.c.

Nel caso di specie, non avendo il vettore fornito la prova che la perdita è stata causata dalla natura o dai vizi della merce o dell’imballaggio, trova applicazione il principio secondo cui: “la responsabilità del vettore nei confronti del mittente (o del sub vettore nei confronti del sub committente) per il furto della merce non è esclusa o attenuata dalla omessa indicazione da parte del mittente della natura, quantità o peso di tale merce a norma dell’art. 1683 cod. civ. se manchi ogni collegamento causale tra l’omissione o inesattezza delle indicazioni predette ed il fatto che ha determinato la perdita della merce” (Cass. 7.10.10. n. 20808).

Infine, in merito al quantum, la Corte nel richiamare quanto disposto dall’art. 1696 c.c. che prevede un limite quantitativo superabile solo ove il mittente fornisce la prova della colpa grave o del dolo del vettore, ha statuito, con riguardo  al collo smarrito, la sussistenza della colpa grave del vettore per non aver chiarito “come” e “quando” la merce è andata distrutta, considerando che per consolidata giurisprudenza il vettore è custode della merce dalla presa in carico sino all’arrivo della stessa a destinazione; con riguardo al collo consegnato avente ad oggetto merce frantumata, ha invece ritenuto applicabile il limite risarcitorio previsto dall’art. 1696 c.c. (ovvero il risarcimento di cui è tenuto il vettore non può superare l’importo di cui all’art. 23 c. 3 CMR pari a 8.33 DSP).

 

  Avv. Marco Turci                                                                                                     Avv. Elena Magnano

                                                                            

 

 

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