Il riconoscimento in Italia della sentenza di un Tribunale extra-UE - Studio Legale Turci

Il riconoscimento in Italia della sentenza di un Tribunale extra-UE

La Corte d’Appello di Genova con ordinanza collegiale emessa in data 08/05/2020 ha dichiarato l’efficacia in Italia di una sentenza emessa da un Tribunale extra UE contro due società italiane rimaste contumaci durante il giudizio estero.  La pronuncia è di grande interesse in quanto affronta diverse questioni dibattute in materia di riconoscimento di sentenze straniere secondo la procedura di cui all’art. 64 della L. 1995 n. 218 e art. 702-bis cod. proc. civ.

In primo luogo, la Corte ha ritenuto sussistere il requisito volto ad accertare che il Giudice straniero, che ha pronunciato la sentenza di cui si chiede il riconoscimento in Italia, potesse conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano. Secondo la Corte a tal riguardo è necessario che il Giudice straniero abbia fondato la propria competenza giurisdizionale sugli stessi principi in base ai quali, in casi corrispondenti, il Giudice italiano avrebbe esercitato la sua giurisdizione nei confronti del Giudice straniero.

Nel caso specifico laddove in base all’art. 3, primo comma, Legge 218/95, “La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia” e in base all’art. 46 c.c., quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede, il Tribunale straniero “poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano” in quanto la società prima convenuta (e chiamante in causa le due società italiane) nel giudizio straniero aveva sede in quello Stato (nello stesso senso Cass. 2019 n. 22828).

In relazione alla conoscenza del giudizio straniero da parte dei soggetti italiani rimasti contumaci in quel procedimento, la Corte ha ravvisato la sussistenza di tale circostanza, sottolineando che, da un lato, l’esistenza del procedimento era stato comunicata alla parte rimasta contumace secondo le modalità previste dalla lex fori del Tribunale estero adito, così come la contumacia era stata dichiarata in conformità alla stessa, e dall’altro lato, che la mancata traduzione in lingua italiana dell’atto introduttivo del giudizio notificato (redatto in lingua inglese) non rappresenta una violazione del diritto di difesa (nello stesso senso Cass. 2011 n. 3919).

La Corte ha infine ritenuto sussistere anche il requisito secondo il quale è necessario che le disposizioni della sentenza straniera non producano effetti contrari all’ordine pubblico.

Al riguardo, la Corte ha ritenuto che non rilevi in senso contrario il fatto che la sentenza straniera abbia recepito la conciliazione raggiunta tra le altre parti del giudizio rispetto al quale i soggetti italiani contumaci erano rimasti estranei e contenesse una motivazione de relato al contenuto di tale accorso definitorio, in quanto, come sottolineato dalla Corte, “in tema di riconoscimento delle sentenze straniere (..) il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie” e in tema di riconoscimento di sentenze straniere “non ogni differenza rispetto all’ordinamento processuale italiano può configurare il divieto di circolazione, ma solo la lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo” (nello stesso senso Cass. 2019 n. 10540).

Nel caso specifico secondo la Corte non vi era stata alcuna lesione del diritto di difesa, laddove ai soggetti italiani era stata offerta la possibilità di intervenire in giudizio e di difendersi ed erano stati addirittura informati dalla società italiana prima convenuta delle trattative in corso, ma i medesimi avevano scelto di non costituirsi in giudizio né di partecipare alla conciliazione (nello stesso senso  Cass. S.U. 2017 n. 16601).

Infine non assume rilevanza il fatto che il giudizio straniero non fosse stato interrotto per avvenuta dichiarazione, in Italia, del fallimento di un’altra parte contumace, laddove anche nel nostro ordinamento vale la regola per cui “Le norme che disciplinano l’interruzione del processo sono preordinate alla tutela della parte colpita dal relativo evento, la quale è l’unica legittimata a dolersi dell’irrituale continuazione del processo nonostante il verificarsi della causa interruttiva, sicché la mancata interruzione del processo non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né essere eccepita dall’altra parte come motivo di nullità” (nello stesso senso Cass. 2016 n. 17199).

Prof. Avv. Pierangelo Celle                                                                                         Avv. Daniela D’Alauro

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