Navi in sosta prolungata in porto? I problemi pratici non mancano! - Studio Legale Turci

Navi in sosta prolungata in porto? I problemi pratici non mancano!

La permanenza in porto di navi in sosta prolungata costituisce una prassi nel settore marittimo, nell’ambito della quale queste restano ormeggiate presso una banchina o altro spazio portuale per un periodo che può durare anche diversi mesi, mentre i marittimi imbarcati su dette navi soggiornano in tale porto per tutto o parte del periodo durante il quale essi sono imbarcati per effettuare il loro lavoro a bordo.  Durante tale permanenza debbono altresì essere effettuate forniture a bordo della nave, per il buon funzionamento della stessa e per il mantenimento dell’equipaggio durante la sosta in porto e in vista della futura partenza.

Tale peculiare situazione crea problemi di coordinamento con alcune norme, relative a vari settori, le quali – avendo in mente l’usuale fattispecie in cui la nave rimane nel porto solo per il tempo strettamente necessario per effettuare le operazioni commerciali – dettano una disciplina speciale volta a semplificare alcune procedure amministrative connesse allo scalo della nave.

Una prima questione è stata affrontata dalla Corte di giustizia (sentenza del 5 febbraio 2020 in causa C-341/18)  e riguarda le procedure speciali previste per i controlli di frontiera nel caso di marittimi.

Nella specie, dei marittimi di nazionalità di paesi terzi hanno fatto ingresso nello spazio Schengen attraverso un aeroporto internazionale, momento in cui le competenti autorità hanno apposto sui loro documenti di viaggio il timbro d’ingresso previsto dall’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen).  I marittimi hanno poi raggiunto via terra il porto marittimo al fine di imbarcarsi a bordo di una nave ormeggiata da lungo tempo in tale porto, sulla quale essi hanno effettuato il loro lavoro, senza che quest’ultima abbandonasse detto porto. Al termine del periodo di lavoro a bordo detti marittimi, secondo i casi, hanno o raggiunto un aeroporto internazionale via terra per uscire dallo spazio Schengen, oppure hanno proseguito il loro imbarco lasciando il porto a bordo della nave in questione.

In tale contesto, si pone la questione di determinare, nell’ultima ipotesi sopra indicata, in quale momento debba essere apposto sui documenti di viaggio di questi marittimi il timbro di uscita previsto dall’articolo 11, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, quando la sua apposizione è prevista dal citato codice.  Il dubbio è esso debba essere apposto al momento dell’attraversamento del varco di frontiera marittima per l’imbarco sulla nave, come avviene di regola per gli imbarchi dei marittimi, anche nei casi in cui la nave in questione non abbandoni detto porto in breve termine, oppure in un momento successivo a questo imbarco e, in tale ultimo caso, in quale preciso momento.

Alla luce di una interpretazione sistematica della disciplina vigente la Corte di giustizia osserva come il codice frontiere Schengen si basi sulla premessa secondo la quale il controllo di cittadini di paesi terzi a un valico di frontiera sia seguito a breve termine, anche se l’interessato rimanga momentaneamente sul territorio dello Stato membro interessato, dall’effettivo attraversamento della frontiera esterna dello spazio Schengen.

In tale prospettiva, la presentazione di una persona a un valico di frontiera di un porto marittimo di uno Stato che fa parte dello spazio Schengen non può di per sé essere assimilata al fatto, per questa persona, di abbandonare lo spazio Schengen, bensì riflette al massimo l’intenzione di quest’ultima, nella maggior parte dei casi, di abbandonare detto spazio entro un breve lasso di tempo.  Laddove tuttavia risulti che un marittimo imbarcato per lavorare a bordo di una nave ormeggiata per lungo tempo in un porto marittimo, nel momento in cui si presenta, ai fini dell’imbarco su tale nave, a un valico di frontiera del porto marittimo in questione, non ha l’intenzione di abbandonare entro un breve lasso di tempo il territorio dello Stato membro interessato e, al tempo stesso, lo spazio Schengen, la presentazione di tale marittimo al varco di frontiera portuale per l’imbarco sulla nave non può essere considerata come equivalente all’uscita dallo spazio Schengen.

La Corte di giustizia dichiara pertanto che l’articolo 11, paragrafo 1, del codice frontiere Schengen, “deve essere interpretato nel senso che, quando un marittimo, cittadino di un paese terzo, si imbarca su una nave ormeggiata per lungo tempo in un porto marittimo di uno Stato che fa parte dello spazio Schengen, al fine di effettuarvi un lavoro a bordo, prima di abbandonare tale porto su detta nave, un timbro di uscita dev’essere apposto sui documenti di viaggio di questo marittimo, quando la sua apposizione è prevista dal citato codice, non al momento dell’imbarco del medesimo, bensì quando il capitano della nave in questione informa le competenti autorità nazionali della partenza imminente di detta nave”.

La Corte di Cassazione (sentenza del 28 febbraio 2020 n. 5482) si è invece confrontata con la corretta interpretazione della nozione di “nave in partenza” ai fini dell’applicazione dell’art. 254, primo comma del Dpr. 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale – TULD), il quale prevede che i generi costituenti provviste di bordo imbarcati o trasbordati sulle navi in partenza dai porti dello Stato si considerano usciti in transito o riesportazione se esteri ovvero in esportazione definitiva se nazionali o nazionalizzati.

Nella specie, una nave di bandiera straniera era rimasta ormeggiata in un porto italiano per oltre un anno, essendo sottoposta a sequestro conservativo; in tale lasso di tempo venivano effettuati numerosi rifornimenti di combustibile, rispetto ai quali l’Agenzia delle dogane contesta la non applicabilità dell’art. 254 TULD e, pertanto, la sussistenza dell’obbligo per il dichiarante di comunicare la mancata uscita dei beni dal territorio doganale ai sensi dell’art. 792-bis DAC, punto 1, nel testo introdotto dal Reg. n. 1875/2006/CE e modificato dal Reg. n. 319/2009/CE, ratione temporis applicabile.

La Suprema Corte richiama il proprio precedente orientamento in materia, osservando come la nozione di “nave in partenza” implichi che l’unica condizione per accedere al regime speciale previsto dall’art. 254 TULD consista  nella situazione oggettivamente accertabile ed accertata di nave in partenza, senza che invece possa aver rilievo l’effettiva partenza della nave.  Tuttavia, tale accertamento impone una complessiva valutazione dello stato effettivo della nave sia dal punto di vista materiale che dal punto di vista giuridico.

Secondo la Cassazione, infatti, non può ritenersi “in partenza” una nave che sia in sosta per lavori che la rendano inidonea alla partenza, così non può ritenersi tale la nave per la quale esista una oggettiva condizione ostativa (riferibile a terzi soggetti) a lasciare il porto.  Lo status di nave in partenza, in altri termini, sussiste se il mezzo può –  nei limiti dell’ordinaria disciplina amministrativa – salpare dal porto in qualsiasi momento e a propria discrezione: non è, quindi, sufficiente il requisito astratto che presuppone l’attitudine tecnico-fisica di salpare le ancore immediatamente, ma è necessario che, con valutazione da operare in concreto, non sussista alcun vincolo a poter operare una simile scelta. La valutazione, inoltre, va necessariamente effettuata con giudizio ex ante, ossia con riguardo alla situazione esistente al momento della fornitura: l’evento imprevedibile sopravvenuto, infatti, non può influire sullo status della nave, se al momento della richiesta di approvvigionamento era oggettivamente “libera” da ogni vincolo e pronta a partire.

Nella specie, l’anteriore sequestro conservativo determina una istituzionale impossibilità di partire, da cui deriva l’insussistenza, ab origine, della condizione di “nave in partenza”.

La Suprema Corte afferma quindi i seguenti principi:

in tema di diritti doganali, la nozione di “navi in partenza dai porti dello Stato” di cui all’art. 254 TULD, comma 1, postula una situazione oggettivamente accettabile, che compete al giudice di merito con valutazione in concreto da operare ex ante, non limitata all’attitudine tecnico-fisica di salpare le ancore immediatamente ma che include l’assenza di vincoli – ad eccezione di quelli derivanti dall’ordinaria disciplina amministrativa di settore – tali da precludere alla nave di partire in qualsiasi momento e a propria discrezione.

In tema di approvvigionamento di carburante in regime di esenzione per navi in partenza verso porti extra UE, l’esportatore o il dichiarante, qualora la nave non sia partita ed il combustibile sia stato utilizzato all’interno del territorio doganale, sono tenuti, ai sensi dell’art. 792-bis DAC, ratione temporis applicabile, ad informarne immediatamente l’autorità doganale“.

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