Clausola per arbitrato estero e contumacia - Studio Legale Turci

Clausola per arbitrato estero e contumacia

Un’interessante pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione affronta il tema della rilevabilità d’ufficio del difetto di giurisdizione nel caso in cui una parte ha adito l’autorità giudiziaria ordinaria e l’altra è rimasta contumace, allorché il rapporto contrattuale dedotto contenga una clausola per arbitrato estero.

Il caso trae origine dalla seguente vicenda. Una società italiana conveniva in giudizio una società algerina, a cui aveva venduto un impianto, e la banca garante, al fine di far accertare il corretto funzionamento dell’impianto e l’illegittimità dell’escussione della garanzia di buon funzionamento, nel frattempo azionata dalla società acquirente.

Il Tribunale, pur essendo rimasta contumace la società algerina, dichiarava d’ufficio, ai sensi dell’art. 11 della legge 218/1995, il difetto di giurisdizione del giudice italiano nei confronti di essa per effetto della presenza, nel contratto di compravendita, di una clausola compromissoria per arbitrato estero; respingeva poi nel merito la domanda contro la Banca garante, avendo la società venditrice rinunciato al diritto di formulare eccezioni e contestazioni in ordine alla fondatezza delle richieste di escussione del creditore garantito.   La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado.

La Suprema Corte di Cassazione, quanto alle censure vertenti sulla questione di giurisdizione, in riforma delle decisioni rese dai Giudici di merito, afferma, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Bruxelles, la sussistenza della giurisdizione al giudice italiano, avendo sede in Italia la Banca garante seconda convenuta (cfr. in termini Cass. S.U. 27.02.2008 n. 5090; 12.04.2012 n. 5765).

Secondo il Giudice di legittimità, la contumacia della società algerina convenuta, sola legittimata a sollevare l’eccezione di giurisdizione in ossequio all’art. 11 legge 218/1995, non giustifica il rilievo d’ufficio della devoluzione della controversia alla giurisdizione arbitrale estera, laddove tale norma non contiene uno specifico riferimento all’ipotesi che alla base del difetto di giurisdizione vi sia una convenzione di arbitrato estero tra le parti. L’art. 2, comma 3 della Convenzione per il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere, adottata a New York il 10 giugno 1958, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 19.01.1968, n. 62, prevede espressamente che il rinvio delle parti davanti agli arbitri, per effetto di una convenzione arbitrale, possa essere disposto dal giudice solo a richiesta delle parti stesse. Tale norma è espressamente riferita sia agli arbitrati nazionali che a quelli esteri e si riferisce a un principio ben saldo nell’ordinamento italiano, espresso, tra l’altro, da Cass. 6.11.2015, n. 22748 secondo cui: “Il fondamento dell’arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24 c. 1 Cost, con la conseguente esclusione della possibilità d’individuare la fonte dell’arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all’art. 806 cod. proc. civ. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento (cfr. Corte Cost. sent. n. 127 del 1977)”.

Dunque, secondo le SS.UU. “se è la volontà delle parti a costituire l’unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi, anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest’ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato”; sicché non può giustificarsi l’affermazione “della rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza del giudice ordinario, la cui dichiarazione resta pertanto subordinata alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto”.

In definitiva, dunque, il fondamento di qualsiasi arbitrato (anche quello internazionale) è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, la quale consente soltanto di derogare al precetto contenuto nell’art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all’art. 24, c. 1, Cost. Ne consegue l’impossibilità di individuare la fonte dell’arbitrato in una volontà autoritativa e la necessità di attribuire all’art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell’intero ordinamento.  Le parti possono, quindi, optare per il giudizio dinanzi all’autorità giurisdizionale ordinaria non solo espressamente, ovvero mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, ovvero attraverso l’adozione di condotte processuali convergenti verso l’esclusione della competenza o giurisdizione arbitrale e, segnatamente, mediante l’introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell’eccezione di arbitrato.

La Corte, dunque, in accoglimento dei motivi relativi alla giurisdizione, ha dichiarato la giurisdizione del Giudice Italiano e rimesso alla sezione semplice l’esame dei restanti motivi.

Avv. Marco Turci

Avv. Elena Magnano

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