Nuovi orientamenti della Cassazione sulla ripartizione delle spese per la chiamata in causa del terzo. - Studio Legale Turci

Nuovi orientamenti della Cassazione sulla ripartizione delle spese per la chiamata in causa del terzo.

Con la recente pronuncia n. 31889/2019, la Suprema Corte di Cassazione ha aperto un consapevole contrasto sul tema della condanna alle spese relative alla chiamata in causa del terzo in garanzia ad opera del convenuto rispetto ai precedenti orientamenti recentemente espressi dalla stessa Corte.

La vicenda riguarda una richiesta di risarcimento di danno per fatto illecito in cui la convenuta chiama in causa la propria Compagnia assicuratrice della responsabilità civile per essere tenuta indenne in caso di condanna.  La Compagnia si costituisce argomentando l’infondatezza della domanda della convenuta nei propri confronti per essere l’evento produttivo di danno espressamente escluso dalla copertura assicurativa.

In primo e secondo grado la domanda attorea viene respinta, con condanna dello stesso a rifondere le spese sia della parte convenuta, sia della Compagnia assicuratrice terza chiamata.

Ricorre quindi in Cassazione l’originario attore sostenendo, tra l’altro, l’erroneità della decisione per aver condannato l’appellante a rifondere le spese anche alla parte chiamata in garanzia dal convenuto, nonostante tale domanda fosse palesemente infondata.

La Corte di Cassazione dà atto dell’esistenza di due distinti orientamenti che si sono susseguiti negli anni nell’ambito della stessa giurisprudenza di legittimità.

Il primo indirizzo è teso ad escludere, in caso di manifesta infondatezza della domanda da cui è sorto il rapporto processualmente accessorio, la condanna alle spese di colui che ha instaurato il rapporto principale. Tale orientamento si fonda sul combinato disposto dei principi di causazione e di soccombenza.

Ne consegue che nel caso in cui la difesa attuata dal convenuto, sotto forma di chiamata in causa,sia “eccentrica rispetto all’oggetto della controversia o comunque manifestamente priva di fondatezza”, il soggetto che ha attivato il rapporto principale non è tenuto a rifondere le spese del terzo chiamato, in quanto il rapporto instauratosi tra convenuto e terzo chiamato non è realmente accessorio a quello che ha originato il processo, essendo posto in essere mediante “un impulso processuale radicalmente privo di pertinenza/fondatezza, id est arbitrario”. A mente di tale indirizzo dunque, “la palese infondatezza della domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti del terzo chiamato comporta l’applicabilità del principio di soccombenza nel rapporto processuale instauratosi tra loro, anche quando l’attore sia, a sua volta, soccombente nei confronti del convenuto chiamante, atteso che quest’ultimo sarebbe stato soccombente nei confronti del terzo anche in caso di esito diverso della causa principale” (così Cass. sez. 6-3, ord. 21 aprile 2017 n. 10070; e sulla stessa linea cfr. p. es. Cass. sez. 1, 14 maggio 2012 n. 7431Cass. sez. 3, 8 aprile 2010 n. 8363Cass. sez. 3, 10 giugno 2005 n. 12301 e Cass. sez. 3, 2 aprile 2004 n. 6514).

Il secondo e più recente orientamento tende invece ad elidere, in tema di ripartizione delle spese processuali del terzo chiamato in garanzia, il principio della causazione basando la ripartizione delle spese solo su quello della soccombenza.

In questi termini, la domanda di manleva spiegata dal convenuto con la chiamata in causa di un terzo non deve essere necessariamente valutata “manifestamente infondata” o “palesemente arbitraria” ai fini della condanna del chiamante al rimborso delle spese processuali sostenute dal chiamato. Tali spese sono sempre poste a carico del chiamante una volta accertata l’infondatezza della chiamata in causa del terzo senza necessità che un siffatto accertamento – di natura necessariamente incidentale- risulti rafforzato da ulteriori requisiti, quali  “manifesta infondatezza” ovvero “palese arbitrarietà”, in quanto, per un verso, mostrano profili di sicura opinabilità e, per altro verso, non risultano espressamente richiesti dall’art. 91 c.p.c.; a mente di tale orientamento dunque, “le spese processuali sostenute dal terzo chiamato in causa dal convenuto, che sia risultato totalmente vittorioso nella causa intentatagli dall’attore, sono legittimamente poste, in base al criterio della soccombenza, a carico del chiamante, la cui domanda di garanzia o di manleva sia stata giudicata infondata”, (ordinanza del 21 febbraio 2018 n. 4195).

Una volta analizzate le due distinte posizioni, la Suprema Corte con la pronuncia in commento, prende le mosse da quest’ultimo indirizzo sottolineando che in tema di ripartizione delle spese processuali è fondamentale, ai fini della tutela del diritto di difesa, che il principio della soccombenza sia temperato da quello della causalità. Seguendo il solo principio della soccombenza, infatti, si comprimerebbe l’esercizio del diritto di difesa di colui che è convenuto nel rapporto processuale.

Per contro, la valorizzazione della causazione impedisce la trasformazione del processo dotato di una pluralità di rapporti, in una serie di compartimenti stagni per cui, anche a fronte di una piena vittoria nei confronti dell’attore del rapporto principale, il convenuto in quest’ultimo non è tenuto comunque rifondere le spese di chi ha egli stesso convenuto in un rapporto avviato per difendersi. Il che significherebbe ammettere, in contrasto con i principi fondamentali del processo, “che chi ha ragione esce comunque con una deminutio della sua sfera economico-giuridica dalla contesa processuale, l’esercizio del diritto di difesa integrando in una perdita, a prescindere dal fatto che egli potesse o meno ciò prevedere”.

Secondo la prospettazione della Suprema Corte, tuttavia, il suddetto principio non trova applicazione allorquando il convenuto sia in grado di comprendere ab origine che la chiamata del terzo in garanzia sia completamente infondata ove l’abusivo esercizio del diritto di difesa recide la causazione, riconducendo al paradigma della soccombenza in via esclusiva. La valutazione della sussistenza o meno di una condotta processuale temeraria, ossia della proposizione di una chiamata in causa su fondamenti manifestamente inconsistenti, è una valutazione di merito del contenuto della domanda proposta dal convenuto/chiamante in causa.

La Corte rileva che dalla decisione di appello emerge come sia stata espressamente vagliata la sussistenza o meno di arbitrarietà nella chiamata in causa della compagnia assicurativa da parte del convenuto, specificamente riferendosi al testo delle Condizioni generali di assicurazione, per concludere nel senso dell’esistenza di incertezze atte a escludere l’arbitrarietà della chiamata in causa.

Il motivo, dunque, risulta inammissibile e il ricorso viene rigettato.

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